Intervento di Paola De Ferrari. Comunicazione scritta per il Convegno della Rete Athena, Università Europea, Fiesole, 2001
Sono passati ormai cinque anni dalla pubblicazione di Reti della memoria. Censimento di fonti per una storia delle donne in Italia. Con quel primo lavoro, la Rete Lilith offriva una descrizione di circa 80 tra fondi, archivi e raccolte documentarie sparsi in tutta Italia e custoditi da Nodi della rete e da altri enti.
Questa attenzione dedicata agli archivi è stato il conseguente sviluppo di un lungo processo, durato per tutti gli anni ’80, che ha portato molte donne provenienti dal movimento femminista a costruire delle strutture associative, e poi a collegarle in una Rete.
Negli obbiettivi di questi Centri (una parola chiave di quel periodo fu “le donne al Centro”) c’era il recupero e la circolazione di scritture femminili, libri, riviste, documenti. Lo scopo era rendere disponibili in modo allargato i pensieri e le realizzazioni di tutte coloro che erano attive, o lo erano state negli anni precedenti; ma anche conservare questa documentazione per una fruizione futura. Molti di questi centri si chiamarono pertanto “Centri di documentazione” e “Biblioteche”, e si affiancarono alle riviste esistenti, alle cooperative di ricerca, ai gruppi di lavoro nella scuola, alle librerie, alle attività antiviolenza e di aiuto alle donne.
L’ottica era tutta centrata sul presente, e la critica e il “punto di vista di genere” riguardò in primo luogo le discipline biblioteconomiche e documentarie, soprattutto il sessismo nel linguaggio naturale e nei linguaggi descrittivi.
La Rete Lilith, nata in quegli anni, produsse attraverso la collaborazione di alcuni Centri il primo nucleo di un thesaurus di genere in lingua italiana (Linguaggiodonna), implementato negli anni fino a comprendere una lista di circa 4000 vocaboli più 2000 proposti, e contemporaneamente la base dati collettiva Lilith e i software bibliografici dedicati. Con questi strumenti venivano fatti circolare in Italia e in Europa le descrizioni informatizzate di libri, articoli, recensioni e documenti. (Oggi la base dati comprende circa 30.000 record ed è consultabile su Internet)
L’interesse per i temi della storia e della conservazione e trasmissione della memoria si concretizza in modo specifico verso la metà degli anni ’90 con il gruppo di lavoro della Rete dedicato agli archivi, che affronta lo studio approfondito delle discipline archivistiche; ed è segnato, forse, anche dal passaggio generazionale, cioè dalla presenza di giovani donne che si rivolgono ai Centri per apprendere e per fare. A loro sono dedicate attività di formazione, che tengono insieme l’insegnamento concreto disciplinare e tecnico, biblioteconomia, documentalistica e archivistica, e nuove tecnologie informatiche e telematiche, ma anche un modo di apprendere da altre donne che fanno del genere il loro punto di vista in queste discipline e professioni, spesso nuove. La formazione è sempre compresa in un quadro teorico di studi femministi, a cui vengono chiamate a collaborare di volta in volta storiche, linguiste, sociologhe, economiste …
Si svolgono nel 1994/95 vari corsi di formazione per “documentaliste di genere” (Progetto NOW), in cui si realizzano seminari e un convegno sulla memoria e gli archivi delle donne (a Roma, Bolzano, Milano, Cagliari, Firenze).
L’evoluzione di questa attività porta al censimento e al libro già citati, e successivamente alla creazione di un software specifico per la descrizione archivistica (Lilarca, 1997); è bello ricordare che questo software è stato creato da una giovane laureata in filosofia, Graziella Casarin, ora bibliotecaria responsabile di diverse biblioteche toscane, che ha frequentato il corso NOW organizzato dalla Cooperativa e Libreria delle donne di Firenze. Lilarca è stato presentato a Roma nel giugno 1999, in una giornata di studio dedicata, alla presenza della Ministra Laura Balbo.
Seguono corsi per il suo apprendimento, e in seguito recupero, riordinamento e inventariazione di archivi e attività di studio e approfondimento. Collegato al riordino dell’archivio del Coordinamento donne lavoro cultura di Genova, nel 1998 nell’Università di Genova Augusta Molinari, docente di storia contemporanea nella Facoltà di Lettere, ha condotto un seminario centrato sulle fonti per la storia delle donne, e ha fatto da relatrice a una Tesi di laurea ad esse dedicata, frutto di una Borsa di studio offerta dal Coordinamento.
Altro archivio interessante descritto informaticamente con Lilarca è “Donnateca”, del Centro donna di Venezia, a cui afferiscono fondi documentari del femminismo veneto. E’ in corso il lavoro sull’Archivio dell’Udi di Genova, mentre è stato completato l’Archivio Piera Zumaglino di Torino. Questo archivio è molto ricco e importante per il femminismo italiano, è un archivio contemporaneamente “personale” e “di movimento”, contiene le carte della autrice e quelle prodotte dai più importanti centri di elaborazione femminista italiana ed europea degli anni ’70 e ’80. Il suo inventario, edito anche con il contributo di enti locali, è stato presentato a Torino nel dicembre 2000, in un convegno molto appassionante, che ha visto reincontrarsi le donne protagoniste di quegli anni, sovente autrici di documenti in esso conservati. Dall’esistenza e apertura al pubblico dell’Archivio Zumaglino molte hanno ripreso interesse per la valorizzazione delle carte dei movimenti: all’Associazione Zumaglino sono arrivate diverse proposte di deposito di fondi, di carte del femminismo sindacale, di collettivi e altri gruppi dell’area torinese. Il lavoro di conservazione e archiviazione non è mai disgiunto, nella nostra ottica, dal lavoro politico attuale delle donne dei Centri, vi si affianca e lo arricchisce della attenzione ai vari modi possibili di trasmettere consapevolezza, storia, memoria. Anche in questo caso è interessante ricordare un riuscito intreccio di generi e generazioni: l’inventario dell’archivio è stato realizzato da Dimitri Brunetti, un giovane archivista, e la revisione e indicizzazione è stata curata da due donne dell’Associazione, Patrizia Celotto, “vecchia femminista” amica di Piera e “testimone di memoria”, e la giovane Matilde Adduci che ha curato la descrizione informatizzata.
Sempre nel corso del 2000 si è realizzata un’altra attività di collaborazione, tra la Rete Lilith e la Rete donne Toscana, un network nato di recente a cui afferiscono i Centri delle donne della Toscana e vari enti, pubblici (Regione e Province) e privati (tra cui l’Istituto Gramsci).
In questo caso si è svolta all’interno di un Progetto di Istruzione Regionale (PIR), che aveva come target una ventina di giovani laureate e diplomate disoccupate, e donne che lavorano volontariamente o sono dipendenti degli Enti coinvolti; lo sbocco è stato una nuova figura professionale, l’esperta di sistemi informativi in un’ottica di genere, con competenze approfondite in NTC.
Il contributo della Rete Lilith è stato diversificato, da canale di contatto attraverso cui si sono realizzate collaborazioni con esperte e docenti in varie materie, alla realizzazione di un modulo di formazione archivistica di base, con al centro gli archivi femminili e i problemi connessi. Si è svolto all’interno del corso, a Grosseto, un convegno dedicato alla storia e memoria femminile, con la partecipazione di Aida Ribero ed Emma Baeri, e ha supportato la docenza e il tutoring la creazione di un ipertesto su Internet “Il piacere dell’archivio. Omaggio ad Arlette Farge”, che, insieme al sito dedicato, al forum on line, alla bacheca elettronica è stato uno degli strumenti di formazione a distanza (FAD). Una parte delle lezioni si è svolta in teleconferenza tra Firenze (Villa Demidoff) e Grosseto (Sala multimedia della Provincia), è stata un’esperienza molto interessante e coinvolgente per tutte, allieve e docenti, ed ha aperto la strada a nuove ipotesi di lavoro che utilizzi le possibilità offerte dai nuovi media. Anche il Cdrom “Memoria e libertà delle donne” prodotto dalle allieve di Grosseto (una bibliografia e cronologia del femminismo) testimonia che l’incontro tra varie generazioni di donne con la mediazione di conoscenze e coscienze, può produrre sapere, invenzioni, creatività.
In Italia l’interesse per gli archivi femminili ha in questi anni raggiunto anche i livelli istituzionali: nel 1998 il Ministero per i beni e le attività culturali ha pubblicato una piccola guida; nel gennaio 2001 si è svolta a Roma la prima giornata di studio, promossa dall’Ufficio centrale per i Beni Archivistici nell’ambito di “Novecentodonna”, nel complesso di San Michele a Ripa, che ha visto la presenza di moltissime studiose e archiviste da tutt’Italia. Si spera che questo impegno (che dovrebbe diventare periodico) concretizzi anche un sostegno alle numerose iniziative in corso da parte di soggetti diversi, oltre alla Rete, tra cui citiamo solo alcuni:
gli Archivi Riuniti di Milano, gli archivi UDI, l’Archivio della scrittura femminile fiorentino, l’ANAI romano, il gruppo Mneme di Padova, varie iniziative di docenti di Università…
Per l’immediato futuro la Rete è impegnata su vari progetti di censimento e riordino di archivi in collaborazione con centri di Piemonte, Liguria, Emilia, Toscana, Sardegna, che prevedono anche una formazione specialistica rivolta alle tipologie e problematiche sia di archivi femminili, che di carte delle donne o riguardanti le donne in archivi “neutri” pubblici e privati.
In particolare è impegnata nella progettazione di un’OPAC, in cui far confluire gli archivi descritti informaticamente con Lilarca.
L’OPAC (On line Pubblic Access Catalogue), all’interno di un sito dedicato che fornisca anche altri strumenti di aiuto alla consultazione (schede degli archivi e dei centri conservatori, guide, indici) e strumenti interattivi (forum e bacheche on line), notizie e agende di eventi, saggi, bibliografie e webliografie e altro ancora, è uno degli obbiettivi principali della politica della Rete, che ha sempre privilegiato il networking, e ha fin dal 1996 utilizzato la telematica per la valorizzazione dei posseduti bibliografici dei singoli centri sparsi sul territorio nazionale. Questo per diversi ordini di motivi, tutti egualmente importanti.
Anzitutto, gli archivi del femminismo, già al momento della formazione e sedimentazione delle carte, sono il prodotto di complesse relazioni tra singole donne e gruppi e collettivi, tra carte private e documenti pubblici, tra tematiche generali e rielaborazioni politico- pratiche locali, tra scrittura e altri media, visivi e oggettuali; tra ciò che si è scritto e ciò che si è detto o comunicato in altre forme, gestuali, musicali. E naturalmente tra ciò che è rimasto e ciò che è perduto, o ancora non riconosciuto come fonte di memoria.
La descrizione informatizzata con il software Lilarca consente la ricerca ipertestuale attraverso i vari livelli di un singolo archivio, senza mai perdere la contestualizzazione del record visualizzato; consente anche l’accesso attraverso indici di nomi, enti, luoghi, eventi ecc., la ricerca sul contenuto semantico dei record con le parole chiave del thesaurus Linguaggiodonna e quella a testo libero; le ricerche si possono fare in un singolo archivio o trasversalmente in tutti quelli contenuti nel database. Empiricamente, troviamo confermati l’interconnessione degli archivi, la trasformazione continua dei temi e degli argomenti, la convivenza di forme documentarie e espressive tradizionali e di contenuti antagonisti, o viceversa: troviamo quindi allusioni e suggestioni verso quelle “parole chiave” che Luisa Passerini ha indicato come punti d’accesso per interpretare la soggettività femminile contemporanea: duplice e scissa tra femminismo e femminile, in continua trasformazione, caratterizzata dalla intersoggettività.
Per rendere conto, per trattare adeguatamente, anche in una cornice disciplinare rigorosa, le carte del femminismo è necessario il lavoro e la passione delle donne che le custodiscono e le rendono consultabili, che sono ancora spesso le testimoni di memoria di quelle carte, le rendono capaci di comunicare, rendono intelleggibili i contesti della loro produzione, i percorsi biografici e storici, gli scarti, le distruzioni, le accumulazioni imprevedibili.
I Centri delle donne e le archiviste della Rete creano una sinergia che tende non solo alla inventariazione e conservazione, ma anche allo studio critico, all’attraversamento dell’archivistica come teoria e come prassi, con lo studio della sua storia e il confronto di altre tradizioni; e con lo studio delle applicazioni di nuove tecnologie che ha portato una vivace corrente di rinnovamento e ripensamento anche in ambiti istituzionali e nella Pubblica Amministrazione.
Ritengo quindi molto importante che i singoli Centri o istituzioni che possiedono archivi o fondi o raccolte documentarie del femminismo, ma il discorso si potrebbe allargare ad altre tipologie di archivi contemporanei, siano dotati di strumenti teorici e pratici per il loro riordinamento, inventariazione e messa a disposizione del pubblico. Che si cerchi di preservare così l’originalità e unicità di ogni archivio nel suo contesto locale di produzione, (naturalmente sempre che ci siano le condizioni), piuttosto che tendere al deposito di questi materiali presso Istituti di concentrazione, sul modello degli archivi di Stato e della pubblica amministrazione. Quest’ultima prassi è suggerita dalle croniche ristrettezze finanziarie e dai gravi rischi di dispersione degli archivi privati, e forse è più adatta ad archivi di persone, o anche di enti, ma che hanno da tempo concluso la loro parabola di vita.
Gli archivi del femminismo, anche di gruppi e collettivi estinti, mantengono tuttora legami tenaci con l’ambiente politico-sociale che li ha espressi. Penso che il lavoro sulla conservazione e consultabilità delle fonti per la storia, fatte salve le questioni legate alla privacy, sia un arricchimento essenziale, a cui i Centri attivi devono comunque dedicare attenzione, in contiguità con la produzione attuale della loro documentazione politica e amministrativa: vuol dire avere uno spessore culturale che non si ferma all’oggi, che fa tesoro delle esperienze, che è capace di rileggere nel passato, recente o più remoto, le radici delle proprie motivazioni e delle trasformazioni e cambiamenti.
Il lavoro in rete permette di far fruttare meglio le risorse, la descrizione informatizzata e la consultabilità attraverso Internet consente una visibilità allargata a un pubblico più vasto e non specializzato, che ha accesso a una prima consultazione a distanza con una ricerca trasversale in tutti gli archivi, con cui si ricostruiscono virtualmente le tracce dei legami originari tra soggetti produttori, tra tematiche affini, tra persone, luoghi, istituzioni, eventi citati. La consultazione a distanza permette contatti più facili tra ricercatrici/ricercatori e responsabili degli archivi, riduce i costi della ricerca, apre orizzonti imprevisti e nuove problematiche, come quella sul corretto uso di queste metafonti nella ricerca storica. In sintesi, una rimessa in gioco di contenuti e forme di una cultura politica di donne che ha molto da dire sul presente, e lo sta facendo; coniugata con una inedita problematica sulle trasformazioni legate alle NTC e alle professionalità vecchie e nuove che con loro si confrontano.
Inoltre, la molteplicità di luoghi di conservazione e i coinvolgimento di una pluralità di soggetti non professionalmente “addetti ai lavori” può favorire l’allargarsi dell’interesse verso i temi più specificamente archivistici, ancor oggi sentiti da molte e molti come argomenti aridi e scarsamente interessanti (non senza qualche giustificazione!).
In un paese come l’Italia, così immensamente ricco di beni culturali e di archivi, la separatezza di queste istituzioni, e i rischi di sclerotizzazione della vita che lì si svolge è una delle conseguenze di una lunga storia istituzionale e legislativo-burocratica, che recentemente è stata oggetto di critiche approfondite, e fortunatamente sta mostrando segnali di novità e di apertura. L’invisibilità delle fonti archivistiche delle donne nel panorama istituzionale è stato ampiamente denunciato: nell’Archivio Centrale dello Stato il 3% degli archivi personali custoditi riguarda le donne; nei circa 2300 archivi di famiglie e persone vigilati dalle Soprintendenze solo 13 sono femminili (Linda Giuva, comunicazione alla citata giornata di studio del MBAC).
Eppure, nella teoria e pratica archivistica si stanno dibattendo problemi cruciali non solo per gli addetti/e ai lavori: il metodo storico, il rispetto dei fondi e del principio di provenienza non sono da mettere in discussione, ma nel caso di carte femminili comprese in fondi personalità e di famiglie, l’individuazione del soggetto produttore nella persona più conosciuta non mette quasi sempre in ombra i contributi femminili?
E una descrizione più analitica dell’archivio, in cui vengano messi in luce i contributi femminili attraverso indici di nomi, liste d’autorità (autority file) corredate da rimandi alle varianti onomastiche e da note biografico-storiche, seguendo anche le indicazioni degli Standard internazionali ISAAR(CPF), non incontra tuttora una certa diffidenza, per non dire inerzia? A me pare che il dibattito su nomi femminili e sui problemi della adozione di una forma normalizzata sia ricco di implicazioni storiche e politiche, sia per archivi storici, che per l’oggi, in cui le società occidentali cercano di aprirsi alla presenza di donne (e uomini) di altre culture e lingue. Questo terreno di studi meriterebbe una nuova iniziativa di ricerca in sede appunto di women’s studies transnazionali e interculturali, e di collaborazione tra archivi, biblioteche e musei, anche in vista degli irreversibili processi di automazione e standardizzazione in corso.
Oggi che cominciano ad essere disponibili fonti archivistiche di donne della contemporaneità, e, in particolare, fonti dei loro movimenti politici, che molto hanno contribuito al cambiamento dei paradigmi culturali e sociali, si offrono alla ricerca inediti campi di indagine, si possono attivare percorsi di studio e di formazione per giovani donne e uomini, per aiutarli a costruire una loro professionalità e insieme una loro identità sociale, di genere e generazionale; per conoscere chi li ha preceduti e per conoscere se stessi